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La mia ortodonzia

Oggi sono una persona sicura di sé, penso di avere un certo successo in campo sociale poiché sono estroversa, spigliata e cerco sempre di essere gentile con tutti. Mi piace molto circondarmi di persone, di amici, conoscenti, la solitudine non fa per me (mi bastano pochi minuti con me stessa per ricaricarmi, dopodiché ho bisogno di compagnia o mi deprimo). Amo organizzare attività di gruppo, e variare sempre quello che faccio e con chi lo faccio. Quando c’è da organizzare una gita, una cena, una festa a sorpresa, sono sempre io quella che i miei amici incaricano della missione. Ed io la porto avanti molto volentieri. Qualcuno potrebbe dire che è nel mio DNA, ma la verità è che non sono sempre stata così. Anzi, semmai, da ragazzina ero l’esatto opposto. Il carattere di cui sono fiera oggi, me lo sono costruito, conquistato con fatica, imparando a combattere con me stessa per non soccombere alla facilità di nascondersi, di non fare le cose, di vivere una vita introversa, solitaria, sicura ma senza grande eccitazione. Crescevo ed odiavo la persona che ero, non sopportavo di non avere coraggio, di dipendere sempre dagli altri, di appoggiarmi alle mie amiche molto più allegre di me. Chi mi conosceva bene, mi amava, sapeva che avevo un gran valore, ma conoscermi era così difficile perché ero impenetrabile.

Era stata l’ortodonzia a rendermi così. Prima dell’apparecchio, da bambina, ero solare, felice, e giocavo con gli altri bambini come tutti. Quando, a undici anni, mi era stato detto che avrei dovuto accettare l’ortodonzia ero andata nel panico. Non volevo assolutamente mettermi l’apparecchio, nessuno dei miei amici ce l’aveva (anche se alcuni l’avrebbero messo di lì a poco, io sarei stata la prima, la più presa in giro, l’apripista delle battute cattiveriose dei ragazzini preadolescenti), sarei stata brutta. Avevo pianto fino allo sfinimento, avevo urlato, avevo spaccato una lampada (cosa che mi aveva procurato una bella punizione), avevo detto ai miei genitori che li odiavo (cosa di cui mi sono pentita amaramente due secondi dopo, ma non avevo il coraggio di ammetterlo), ma l’ortodonzia era arrivata comunque.

La prima mattina non volevo andare a scuola. Il dolore in bocca era reale e su quello avevo puntato, ma di quello non mi importava nulla… avevo così tanta paura di affrontare la mia classe con tutto quel metallo in bocca. Mia madre aveva minimizzato, ed aveva sbagliato. Il trauma c’era stato. Avevano tutti riso di me, in mezza mattinata tutta la scuola sapeva della mia ortodonzia, e le mie poche amiche facevano fatica a starmi accanto per paura di venire etichettate come sfigate. Tornata a casa avevo pianto a lungo, nella solitudine della mia cameretta. Ai miei non avevo detto più niente, ancora mi sentivo in colpa, ma da quel momento avevo iniziato a cambiare, un cambiamento lento, ma che i miei genitori avevano percepito.

Solo da adulta era riuscita a parlarne con i miei. Avevo spiegato loro il motivo del mio cambiamento, e avevo chiesto scusa per le mie parole di tanti anni prima. Sia io che mia madre avevamo pianto, ed io mi ero liberata di un pesantissimo fardello, della mia ortodonzia. Da allora ho potuto ricostruire la mia persona, ed diventare quella che sono oggi, quella che forse sarei sempre stata se non avessi subito quel mio trauma personale.